Con la sentenza emessa nella causa C‑639/18, la Corte di Giustizia si pronuncia sul tema della commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori. La Corte viene chiamata a decidere se l’accordo di rinegoziazione dei tassi d’interesse di un prestito preesistente possa essere considerato come un contratto riguardante servizi finanziari, di cui all’art. 2, lett. a), della Direttiva 2002/65/CE.
I fatti della causa
Finalità e ambito di applicazione della Direttiva 2002/65/CE
I fatti della causa
Tra il 1994 e 1999 il ricorrente della causa principale ottiene tre prestiti a tasso fisso finalizzati all’acquisto di immobili e beni di consumo. Ognuno di questi contratti prevedeva la possibilità per ciascuna delle parti di chiedere, trascorso un determinato termine, la rinegoziazione del tasso d’interesse applicato. In mancanza di accordo, l’istituto bancario avrebbe potuto applicare un tasso d’interesse variabile paragonabile a quello applicato ai prestiti del medesimo tipo.
Tra il 2008 e 2010, il consumatore rinegoziava con la propria banca i tassi d’interesse annui. Gli accordi sui nuovi tassi d’interesse, conclusi usando esclusivamente tecniche di comunicazione a distanza, lasciavano invariati sia la durata che l’ammontare dei prestiti preesistenti. In tale occasione, la banca non informava il consumatore del fatto che quest’ultimo godeva di un diritto di recesso.
Nel 2015, il consumatore comunica alla banca di voler recedere dagli accordi sui nuovi tassi d’interesse, sottolineando che ciascuno di questi accordi costituiva un contratto a distanza. Non essendo stato informato di essere titolare di un diritto di recesso, egli riteneva di disporre ancora di questa possibilità. Proponeva quindi ricorso al Tribunale competente affinché fosse accertato il venir meno di qualsiasi accordo convenuto sulle clausole aggiuntive con cui si modificavano i tassi d’interesse.
Il Tribunale adito faceva dipendere l’applicazione della normativa nazionale, e il conseguente riconoscimento del diritto di recesso, dall’interpretazione della nozione di contratto riguardante servizi finanziari, di cui all’art. 2, lett. a), della Direttiva 2002/65. Con domanda pregiudiziale, chiede alla Corte di Giustizia se in tale nozione possa rientrarvi l’accordo di modifica del tasso d’interesse che non muta la durata e l’ammontare di un preesistente prestito.
Finalità e ambito di applicazione della Direttiva 2002/65/CE
La Direttiva si inserisce nel quadro di misure adottate dal Legislatore europeo per il consolidamento del mercato interno dove la libera circolazione dei servizi finanziari gioca un ruolo fondamentale. L’intento perseguito dalla direttiva è duplice:
armonizzare la regolamentazione degli Stati Membri in tema di commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori;
garantire un elevato grado di protezione dei consumatori così da accrescere la loro fiducia nel commercio a distanza e assicurare la libera circolazione dei servizi finanziari.
Con l’introduzione delle regole comuni a livello europeo, si è voluto da una parte evitare che i divergenti approcci normativi degli Stati Membri impattassero negativamente sul funzionamento del mercato interno; dall’altra, tutelare il consumatore dai rischi insiti nella negoziazione a distanza di servizi finanziari.
La Direttiva presta particolare attenzione alle fasi iniziali di contrattazione. L’obbiettivo è quello di porre il consumatore nella condizione di effettuare una decisione informata valutando correttamente la convenienza dell’accordo. Per questo motivo si indicano esplicitamente le informazioni che il fornitore del servizio dovrà offrire al consumatore. La particolare enfasi data alla fase precontrattuale si riflette anche sull’ambito di applicazione della normativa. L’art. 1, par. 2, dispone infatti che essa si applica solamente all’accordo iniziale di servizio e non anche alle successive operazioni. Il considerando 17 della Direttiva offre alcuni esempi di cosa debba intendersi per accordo iniziale di servizio e cosa bisogna riguardare invece come operazione. Esso dispone inoltre che l’aggiunta di nuovi elementi a un accordo iniziale non costituisce un’operazione bensì un contratto aggiuntivo a cui si applica la Direttiva.
La tesi dell’Avvocato Generale
Sposando la tesi della Commissione, l’Avvocato Generale ritiene che l’accordo sul tasso d’interesse rappresenti un contratto riguardante servizi finanziari a cui vanno applicate le disposizioni della Direttiva. Egli dà un’interpretazione estensiva dell’art. 2, lett. a) che definisce il contratto a distanza come:
qualunque contratto avente per oggetto servizi finanziari, concluso tra un fornitore e un consumatore nell’ambito di un sistema di vendita o di prestazione di servizi a distanza organizzato dal fornitore
Vero è che la nozione di accordo e contratto può differire da un ordinamento all’altro. Dalla lettura del considerando 15 della Direttiva si possono tuttavia ricavare gli elementi essenziali del contratto che sono l’offerta, la negoziazione e la conclusione. Il contratto sussiste di fatto qualora vi sia una proposta e un’accettazione che conducono a una volontà comune delle parti. La rinegoziazione dei tassi d’interesse viene effettuata solamente dopo il raggiungimento di un nuovo accordo al quale si applicano nuove condizioni. Sempre secondo l’Avvocato generale, non si trattava quindi di una semplice operazione, bensì un contratto che necessitava il raggiungimento di una volontà comune. Ne consegue che il consumatore doveva ricevere tutte le informazioni necessarie per prestare il suo consenso. Questa interpretazione sarebbe in linea con gli obiettivi di tutela dei consumatori perseguiti dalla Direttiva.
La decisione della Corte
La Corte di giustizia perviene a conclusioni diametralmente opposte a quelle dell’Avvocato Generale.
Pur concordando con quest’ultimo quando indica che la direttiva si applica, ai sensi dell’art. 1, par. 2, solamente all’accordo iniziale di servizio, immediatamente dopo ne contraddice le conclusioni. Per i giudici infatti, la rinegoziazione di un nuovo tasso d’interesse effettuata in applicazione di una clausola che includeva tale opzione, non costituisce né un’operazione, né l’aggiunta di elementi all’accordo iniziale. Con tale clausola aggiuntiva le parti non convengono la prestazione di servizi finanziari, ma adeguano solamente il tasso d’interesse dovuto come corrispettivo di un servizio già pattuito. A questo riguardo, la Corte richiama la sua precedente giurisprudenza in riferimento al contratto di mutuo evidenziando che l’obbligazione caratteristica di tale contratto è rappresentata dall’erogazione dell’importo finanziato. Il rimborso della somma mutuata invece costituisce l’esecuzione della prestazione del creditore.
Una tale interpretazione sarebbe in linea con lo scopo della Direttiva di offrire un elevato livello di protezione ai consumatori. Questa non impone di qualificare come nuovo contratto la rinegoziazione del tasso d’interessi effettuata in applicazione di una clausola contenuta nel contratto di prestito preesistente.
Per queste ragioni
l’articolo 2, lettera a), della direttiva 2002/65 dev’essere interpretato nel senso che una clausola aggiuntiva a un contratto di prestito non rientra nella nozione di «contratto avente per oggetto servizi finanziari», ai sensi di tale disposizione, qualora la clausola aggiuntiva si limiti a modificare il tasso d’interesse inizialmente convenuto, senza prolungare la durata del prestito né modificare il suo importo, e le clausole iniziali del contratto di prestito abbiano previsto la conclusione di siffatta clausola aggiuntiva o, in mancanza, l’applicazione di un tasso d’interesse variabile.