Il tema riguardante il diritto alla provvigione del procacciatore d’affari è stato a lungo oggetto di dibattito, alimentato in gran parte dagli evidenti elementi di affinità con altre figure contrattuali e dall’assenza di un’espressa disciplina normativa.
L’articolo affronta la questione del diritto del procacciatore d’affari alla provvigione facendo particolare attenzione all’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione che ha avuto il pregio di porre fine all’incertezza venutasi a creare.
Il compenso del procacciatore d’affari
Il procacciatore d’affari secondo le Sezioni Unite
Procacciatore d’affari e segnalazione certificata di inizio attività
Il compenso del procacciatore d’affari
Il procacciatore d’affari svolge la propria attività di intermediazione nell’esclusivo interesse dell’impresa da cui ha ricevuto l’incarico di raccogliere ordinativi (detta mandante). La conclusione dell’affare tra il cliente segnalato e la mandante fa sorgere in capo al procacciatore il diritto di ricevere un compenso corrisposto sotto forma di provvigione.
In ragione degli elementi comuni tra l’attività svolta dal procacciatore d’affari e quella del mediatore (consistenti entrambe nella intermediazione volta a favorire la conclusione di affari tra terzi), per lungo tempo si è discusso sulla possibile applicazione della stessa disciplina in materia di provvigione. Secondo tale normativa, il diritto alla provvigione sorge solo:
quando l’affare è concluso dalle parti per effetto dell’intervento del mediatore, e
il mediatore risulta iscritto nel registro delle imprese, se l’attività di mediazione è svolta in forma di impresa, o nel repertorio delle notizie economiche e amministrative (REA).
In merito si erano formati due indirizzi contrapposti.
Un primo indirizzo negava l’obbligatorietà dell’iscrizione del procacciatore al registro delle imprese o al REA. La diversità tra le due figure contrattuali poggia sull’imparzialità del mediatore rispetto al procacciatore che, per contro, agisce nell’esclusivo interesse di una delle parti da cui ha ricevuto l’incarico (ti potrebbe anche interessare: Contratto di procacciamento d’affari: nozione e caratteristiche).
Un secondo indirizzo vedeva invece applicabile al procacciatore la disciplina dettata dalla legge 3 febbraio 1989, n. 39 che lega il diritto alla provvigione alla preventiva dichiarazione di inizio attività alla Camera di Commercio competente per territorio. Nonostante l’autonomia delle due figure, il nucleo essenziale dell’attività svolta dal procacciatore è identico a quella del mediatore che giustifica quindi l’applicazione delle disposizioni sulla provvigione (ti potrebbe anche interessare: Il diritto del mediatore alla provvigione).
Il contrasto è stato successivamente risolto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Il procacciatore d’affari secondo le Sezioni Unite della Cassazione
Con la sentenza n. 19161 del 02.08.2017, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno posto fine al dibattito propendendo per l’obbligatorietà dell’iscrizione al registro delle imprese o REA del procacciatore.
In ragione degli elementi che caratterizzano la figura del procacciatore d’affari, la Cassazione riconduce tale figura nell’ambito della mediazione cosiddetta atipica o unilaterale, con conseguente applicazione della relativa disciplina in tema di provvigione.
Analizzando gli elementi comuni alla mediazione e procacciamento d’affari (intermediazione diretta a favorire tra terzi la conclusione di un affare) e distintivi (imparzialità del mediatore rispetto alle parti, mentre il procacciatore agisce nell’esclusivo interesse di una di una sola delle parti) la Corte richiama quella giurisprudenza che individua, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale detta atipica o unilaterale.
La mediazione atipica ricorre quando l’incarico di ricercare una persona interessata alla conclusione dell’affare viene fornito al mediatore da una sola delle parti, il mandante, da cui può essere preteso il pagamento della provvigione. La Corte, fa rientrare la mediazione atipica nell’ambito di applicazione della legge 3 febbraio 1989, n. 39 che al suo art. 2, comma 4, impone la segnalazione di inizio attività
anche se l’attività viene esercitata in modo occasionale o discontinuo, da coloro che svolgono, su mandato a titolo oneroso, attività per la conclusione di affari relativi ad immobili od aziende.
L’incarico fornito al procacciatore d’affari da una delle parti per l’intermediazione nella conclusione di un affare su beni immobili o aziende rientra senz’altro nella nozione di mandato a titolo oneroso. Ne consegue, quindi, l’obbligatorietà anche per il procacciatore d’affari dell’iscrizione nel registro delle imprese o REA e l’esclusione al diritto alla provvigione per il procacciatore non iscritto.
Procacciatore d’affari e segnalazione certificata di inizio attività
Il mediatore atipico, e quindi anche il procacciatore d’affari, deve adempiere alla segnalazione certificata di inizio attività presso il registro delle imprese affinché possa aver diritto alla provvigione conformemente all’art. 6, legge 3 febbraio 1989, n. 39.
Con la sentenza n. 19161 del 02.08.2017 la Cassazione stabilisce che il procacciatore d’affari ha l’obbligo di iscriversi al registro delle imprese o REA nel caso in cui:
l’attività di intermediazione abbia ad oggetto la conclusione di affari relativi ad immobili o ad aziende, anche se tale attività è svolta in modo occasionale o discontinuo
l’attività di procacciamento d’affari è svolta a titolo professionale, indipendentemente dall’oggetto della intermediazione (beni mobili, immobili o aziende).
Il procacciatore d’affari è invece esonerato dall’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese o nel repertorio delle notizie economiche e amministrative nel caso in cui l’attività svolta abbia ad oggetto beni mobili e sia svolta in modo del tutto occasionale.
L’occasionalità o meno dell’attività svolta dal procacciatore può essere desunta da elementi quali il numero degli affari conclusi nel corso di un dato periodo oppure l’esiguità delle provvigioni corrisposte.
La Corte ha avuto cura di specificare che qualora il procacciatore d’affari operi stabilmente con un determinato preponente, il rapporto dovrà invece essere qualificato come agenzia con l’applicazione della relativa disciplina.
Prescrizione del diritto alla provvigione
L’applicazione al procacciatore d’affari delle medesime disposizioni del mediatore in materia di provvigione ha fatto sorgere dubbi circa la possibilità di estendere al procacciatore anche la disciplina della prescrizione del compenso. A questo riguardo, il diritto del mediatore al pagamento della provvigione si prescrive in un anno dalla conclusione dell’affare che si determina
quando si verificano gli estremi di cui all’art. 1321 del Codice civile, e cioè quando sia stato concluso un contratto che presenti i requisiti essenziali per la sua validità (Cass. civ. del 12.04.2005, n. 7519).
Con riguardo alla prescrizione del compenso del procacciatore d’affari, la giurisprudenza precedente alla sentenza n. 19161 del 02.08.2017 delle Sezioni Unite ha costantemente applicato in via analogica le disposizioni in materia di prescrizione del compenso dell’agente. La scelta veniva basata sugli elementi comuni alle due figure dove per entrambe l’attività di intermediazione è prestata esclusivamente nell’interesse di una delle parti, il mandante.
Tale indirizzo risulta confermato anche dalla successiva giurisprudenza che ha stabilito l’applicazione analogica delle disposizioni del contratto d’agenzia
ivi comprese quelle in materia di prescrizione del compenso spettante all’agente, diverse da quelle sulla prescrizione del compenso spettante al mediatore (Cass. civ. n. 18489 del 04.09.2020; Cass. civ. n. 4422 del 24.2.2009)
Ne consegue che il diritto alla provvigione del procacciatore d’affari, come per l’agente, si prescrive in cinque anni a decorrere dalla scadenza dell’obbligo di pagamento da parte del mandante (art. 2948, n. 4 c.c.).