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La risoluzione del contratto d’appalto da parte del committente

L’articolo esamina le ipotesi di risoluzione del contratto d’appalto da parte del committente, con particolare attenzione alla risoluzione in corso d’opera e quella per totale inidoneità.

 

Le ipotesi di risoluzione del committente nel contratto d’appalto

Con la conclusione del contratto d’appalto, l’appaltatore assume su di sé l’obbligazione di far conseguire al committente il risultato concordato svolgendo l’opera commissionata con diligenza e nel rispetto delle regole dell’arte. Se questo non avviene, il Codice civile offre una serie di rimedi a tutela del committente, tra cui quello della risoluzione del contratto (ti potrebbe interessare: Il recesso unilaterale del committente nel contratto d’appalto). Alla risoluzione del contratto d’appalto da parte del committente vengono dedicate due separate norme, ciascuna riferita ad un diverso momento del rapporto:

Risoluzione in corso d’opera, per il mancato rispetto delle condizioni stabilite nel contratto dopo la messa in mora dell’appaltatore (art. 1662, comma 2 c.c.).

Risoluzione ad opera ultimata, per la totale inidoneità dell’opera rispetto a quanto stabilito dalle parti nell’accordo contrattuale (art. 1668, comma 2 c.c.).

La previsione da parte del Codice dell’ipotesi di risoluzione in corso d’opera non impedisce comunque al committente di ricorrere alla disciplina generale in tema di risoluzione per inadempimento. Infatti, se l’appaltatore non porta a compimento l’opera commissionata, il committente può anche chiedere

il completamento dell’opera ex art. 1453 c.c., comma 1, oppure può domandare la risoluzione del contratto in base alla stessa norma, indipendentemente dall’esercizio della facoltà prevista dall’art. 1662 c.c. (Cass. civ. n. 6931 del 22.03.2007).

 

Gli effetti della risoluzione del contratto d’appalto

Quanto agli effetti prodotti dalla risoluzione del contratto, questi saranno diversi a del tipo di appalto.

In caso di risoluzione del contratto di appalto d’opera si realizzerà l’effetto retroattivo legato alla risoluzione, così come previsto nella parte generale del contratto (1458, comma 1 c.c.). L’appalto d’opera rientra, infatti, in quella categoria di contratti definiti ad esecuzione prolungata, perché la realizzazione dell’opera si protrae nel tempo (ti potrebbe interessare: Contratto d’appalto: nozione ed elementi). Pertanto, con la risoluzione dell’appalto d’opera verranno meno tutti gli effetti del contratto

…e con essi tutti i diritti che ne sarebbero derivati e che si considerano come mai entrati nella sfera giuridica dei contraenti stessi” (Cass. civ. n. 3830 del 15.02.2013)

L’effetto retroattivo non trova invece applicazione per “… gli appalti di servizi e quelli aventi ad oggetto attività di manutenzione periodica, che, per il loro carattere di durata, impediscono la ripetibilità delle prestazioni già eseguite.” (Cass. civ. n. 26862 del 22.10.2019).

 

La risoluzione in corso d’opera nel contratto d’appalto

La risoluzione in corso d’opera del contratto d’appalto è strettamente legata all’esercizio del diritto di controllo e verifica che il Codice conferisce al committente (art. 1662, comma 1 c.c.). In genere, controllo e verifica sono compiti del direttore dei lavori nella sua qualità di rappresentante del committente, il quale ha l’esperienza ed il compito di sorvegliare sull’esatta esecuzione dei lavori da parte dell’appaltatore (ti potrebbe interessare: Contratto d’appalto e variazioni in corso d’opera).

Il diritto di verifica in questione non va confuso con quello spettante al committente ad opera ultimata (di cui all’art. 1665 c.c.). Pertanto, l’assenza di obiezioni sollevate dal committente dopo il controllo non sarà considerata come accettazione. Infatti, l’obbiettivo della verifica in corso d’opera è solo quello

di consentire al committente di controllare l’attività dell’appaltatore nel corso della sua esecuzione, per verificare se questa procede “secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d’arte”. (Tribunale Milano Sez. VII, Sent. del 26.01.2018).

Se l’opera fino a quel momento eseguita dall’appaltatore non corrisponde alle specifiche indicate nel contratto o alle regole dell’arte, il committente può assegnare all’appaltatore un congruo termine affinché quest’ultimo possa porvi rimedio (art. 1662, comma 2 c.c.). In mancanza di un’esplicita indicazione della norma sul tempo da assegnare all’appaltatore, la congruità o meno del termine dipenderà dal tipo di opera commissionata e dalle divergenze riscontrate.

Decorso inutilmente il termine assegnato senza che l’appaltatore abbia posto rimedio alle difformità e ai difetti riscontrati dal committente, il contratto si intenderà automaticamente risolto. Il rimedio della risoluzione in corso d’opera consente al committente di esercitare una forte pressione sull’appaltatore affinché questo si adoperi a fargli conseguire il risultato convenuto.

Secondo una giurisprudenza risalente, il committente può ricorrere al rimedio previsto dall’art. 1662 solo se le difformità rilevate in corso d’opera sono eliminabili dall’appaltatore

in quanto se essi abbiano il carattere dell’irreparabilità, in modo da compromettere l’esecuzione del contratto, si applica il rimedio generale previsto dall’art. 1453 c.c. (Cass. civ. n. 2236 del 30.03.1985).

Oltre agli effetti restitutori legati alla risoluzione del contratto d’appalto (restituzione del pagamento effettuato), il committente potrà domandare il risarcimento del danno subito (danno emergente e lucro cessante).

La risoluzione per inidoneità dell’opera nell’appalto

Se l’opera commissionata è stata portata a termine, il committente può risolvere il contratto d’appalto solo se questa presenta delle difformità o vizi tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione (art. 1668, comma 2, c.c.).

Il rimedio risolutorio offerto al committente ha natura residuale rispetto all’azione di eliminazione dei vizi e a quella di riduzione del prezzo (ti potrebbe interessare: Il prezzo nel contratto di appalto privato). In questo caso, infatti, il legislatore ha preferito la via che porta alla conservazione del contratto rispetto al suo scioglimento. Questo si traduce nelle preclusioni imposte al committente che dovrà senz’altro scegliere i rimedi alternativi alla risoluzione se i difetti che affliggono l’opera possono essere sanati, oppure l’opera può comunque servire allo scopo per cui è stata commissionata.

Prima di poter agire per la risoluzione del contratto è indispensabile che il committente valuti se i vizi e le difformità che interessano l’opera siano tali da renderla completamente inidonea all’uso a cui era destinata. L’idoneità o meno dell’opera dovrà essere valutata in base a

criteri obiettivi, ossia considerando la destinazione che l’opera riceverebbe dalla generalità delle persone,

criteri subiettivi, solo se la possibilità di un particolare impiego o di un determinato rendimento era stato concordato tra le parti (in questo senso Cass. civ. n. 5250 del 15.03.2004)

Insieme alla risoluzione del contratto d’appalto, il committente potrà domandare il risarcimento del danno. Rimane da evidenziare, tuttavia, come l’eventuale rigetto della domanda di risoluzione determini il contemporaneo rigetto della richiesta risarcitoria che, in questo caso,

non può essere accolta per mancanza dei presupposti della pretesa azionata, che si deve fondare sulla medesima “causa petendi” della domanda di risoluzione (Cass. civ. n. 18578 del 13.07.2018).

Infine, l’accoglimento della domanda di risoluzione per colpa dell’appaltatore

non osta a che questi, in detrazione alle ragioni di danno spettanti al committente, abbia diritto al riconoscimento di compenso per le opere già effettuate, e delle quali comunque il committente stesso si sia giovato (Cass. civ. n. 27640 del 30.10.2018).

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2023-05-22T09:32:46+00:00
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